lunedì 9 maggio 2016

Short stories #02: The tooth: Shirley Jackson

Secondo appuntamento con la rubrica in cui parlo di racconti brevi. Un racconto breve per essere precisi.
Questa volta l'autrice in questione è l'americana Shirley Jackson (1916 - 1965). Deve la sua fama soprattutto alla racconto "La lotteria" (The Lottery, 1948), in cui un tranquillo villaggio della campagna americana svela un lato molto sinistro e radicato della propria tradizione. Pubblicato sul New York Times ebbe un successo strepitoso.

Ma invece di parlare di questo racconto così noto vorrei parlare di un altro racconto che si trova nella stessa raccolta, in cui venne pubblicato La lotteria in seguito (1949), ovvero "Il dente" (The Tooth):



Clara Spenser parte con un autobus notturno diretto a New York. Deve andare dal dentista per farsi togliere un dente che le dà noia da molti anni. Dopo un viaggio molto confuso, dovuto al dolore, agli antidolorifici e un compagno di viaggio molto disponibile e presente, Clara arriva finalmente in città e si reca dal suo dentista. L'operazione la libera dal dolore, ma davanti allo specchio del bagno delle signore Clara non è più capace di riconoscersi, perché una parte fondamentale di lei non c'è più. Come se quel dente doloroso la definisse e levato quello la sua identità si fosse persa. La rivelazione di fronte allo specchio è forte, uno shock. Acuito dalla presenza di altre due donne oltre a lei, tre sconosciute, come dice Clara, lei finalmente è costretta ad accettare di essere quella più pallida e ansiosa delle tre:


She was the pale anxious one with the hair pulled back and when she realized it she was indignant and moved hurriedly back through the crowd of women, thinking, It isn't fair, why don't I have any color in my face? There were some pretty faces there, why didn't I take one of those? I didn't have time, she told herself sullenly, they didn't give me time to think, I could have had one of the nice faces, even the blonde would be better. (p. 25)

Il racconto è infuso di ambiguità, anche linguistiche, perchè Clara passa attraverso vari stadi di coscienza e situazioni limite, dal dolore agli antidolorifici, ai narcotici del dentista. La sua percezione della realtà viene quindi messa duramente alla prova e anche noi come lettori non riusciamo più a capire cosa sta succedendo 'veramente'. 
L'inquietante presenza costante di Jack, che Clara incontra sull'autobus e poi nuovamente a New York, dopo l'operazione, ci fa ancora dubitare della parola di Clara. Chi è Jack? Esiste davvero o soltanto nella sua immaginazione?
Ammetto che la tensione provata da Clara andando dal dentista è una che conosco molto bene e mi ha quindi permesso di immedesimarmi meglio nel suo personaggio. Non si può parlare di denti ed estrazioni alla leggera...

L'edizione: Questo libro fa parte dei Penguin Mini Modern Classics, una collana uscita dalla Penguin nel 2011 per i Cinquant'anni della loro fortunata collana Modern Classics. Si tratta di 50 brevi raccolte di racconti o novelle (The Tooth conta 70 pagine), che si prestano molto bene per scoprire nuovi autori e autrici. Mancano però di un apparato di note o di commenti e non contengono neanche una introduzione biografica dell'autore/autrice. Questo è sicuramente un punto a loro sfavore. 

mercoledì 4 maggio 2016

Recensione #13: The Book of Strange New Things - Michel Faber


Ho appena concluso questo mattoncino di 586 pagine e devo mettere su carta (metaforicamente parlando) le mie impressioni.
Il libro in questione è Il libro delle cose nuove e strane di Michel Faber (edito in Italia da Bompiani e tradotto da A. Pezzotta). 
L'autore, olandese di origine, ma che scrive in lingua inglese, si è fatto conoscere nel 2002 con il suo romanzo Il petalo cremisi e il bianco, dal quale è stata tratta anche una mini serie TV. Devo ancora leggere questo volume e ne sono molto incuriosita, le recensioni ad ogni modo sono tutte molto positive.
Il libro in questione invece è uscito nel 2014 e a livello di trama non ha decisamente nulla a che vedere con il precedente!

Trama:
Peter Leigh è un pastore protestante britannico e felicemente sposato con Beatrice, con la quale condivide ogni cosa, a partire dalla fede e dalla passione per la loro parrocchia. La sua vita viene completamente sconvolta quando viene scelto per una delicata missione, in senso proprio letterario: dovrà infatti recarsi su Oasis, un pianeta ai confini dell'universo e portare la parola di Dio ai nativi del posto. Una misteriosa fondazione, denominata USTC è disposta a spendere milioni di dollari per spedire Peter nello spazio e raggiungere la colonia terrestre su Oasis. Peter dovrà adattarsi alle alienanti condizioni di vita degli addetti di USTC e della loro base, alla popolazione indigena che lo accoglie come un vero salvatore e soprattutto alla lontananza da Bea, interrotta solo dalle fitte email che i due si scambiano, ad anni luce di distanza l'uno dall'altra. Ma potrà bastare per due persone così legate? Basterà a trasmettere a Bea le bellezze e bizzarrie di un nuovo pianeta? O a Peter per capire cosa sta succedendo a casa? La missione metterà a dura prova ogni cosa in cui Peter ha mai creduto, creando un divario forse insanabile tra lui e sua moglie, ma anche tra la sua nuova casa e il suo vecchio pianeta.

Recensione
Penso si sia già capito che questo libro mi è piaciuto moltissimo. Di più. Devo ringraziare Jen Campbell per averne parlato così tanto l'anno scorso...
 Le premesse erano già ottime, la combinazione di religione e fantascienza molto intrigante (ma non originale) e sufficienti ad attrarmi nonostante la connotazione romantica che di norma mi avrebbe tenuto alla larga. In questo caso però, il rapporto dei due protagonisti, vero nodo centrale della vicenda, mi ha coinvolto e toccato fin dalle prime pagine, facendomi affezionare a loro due anche in quanto coppia. Se tremavo per loro era più per il loro matrimonio che per le loro singole vite.
Non si può parlare di questo libro senza parlare di Cristianesimo, perchè ogni pagina contiene almeno una citazione da un verso della Bibbia, il "libro delle cose nuove e strane" come lo chiamano gli indigeni. Che ne accolgono il messaggio di speranza e pace come ogni pastore sognerebbe: a braccia spalancate. Peter non si trova certo a dover affrontare la diffidenza o reticenza che avrà invece accolto molti missionari di epoche passate. Il suo gregge non può fare a meno di lui e delle sue letture, per quanto difficili da comprendere, Questi "alieni" (l'unico alieno lì è Peter naturalmente) non rispecchiano nessuno dei canoni con i quali siamo soliti classificare e giudicare le persone e Peter ( e con lui il lettore) dovrà trovare il modo di avvicinarsi a questi personaggi apparentemente identici e non distinguibili, andare più a fondo e oltre a tratti caratterizzanti classici quali il viso, la voce, l'età e anche il genere, per apprezzare ciò che resta, la vera essenza di un essere vivente. 
La storia ci viene presentata soprattutto dal punto vista di Peter, mentre Bea, la Penelope in attesa, resta più in ombra. Ma quando si fa sentire nelle sue lettere, sempre più lunghe e precise di Peter, incapace di descrivere ciò che lo circonda, esprime tutta la sua nostalgia, il senso di abbandono e di mancanza di comunicabilità, che spesso si prova quando la propria metà è lontana. Non aiuta che quello che racconta siano fatti terribili, in un crescendo senza via di fuga. Ma ho molto apprezzato le sue bacchettate alle proposte deliranti di Peter (trasferiamoci in campagna, farai la casalinga, molla il tuo lavoro, te lo dico io). In certi casi ero in grado di prevedere perfettamente la reazione di Bea, dava esattamente le risposte che avrei dato anch'io.
Col passare del tempo però, stando con Peter nel suo villaggio indigeno tranquillo e beato, a poco a poco sono i racconti quotidiani di Bea a sembrarci lontani, confusi e incomprensibili. Ci si sente, come Peter, più a casa in mezzo alla natura umida e primitiva di Oasis che nelle stanze invase di luci al neon, elettricità e aria condizionata della base terrestre. Peter sembra spinto ad allontanarsi dalla base col rischio di "go native" (andare a fare il primitivo) come dicono i suoi colleghi, e come sembra essere successo al suo predecessore, tale Kurtzberg di reminescenza Conradiana...
Da appassionata linguista ho naturalmente apprezzato profondamente gli aspetti linguistici e traduttivi di questa storia. Gli abitanti così poco antropomorfi di Oasis hanno delle notevoli difficoltà di pronuncia con l'inglese della Bibbia (la King James) e di Peter, il quale quindi si trova a dover trascrivere passaggi interi del Nuovo Testamento per adattarli alle capacità orali dei suoi nuovi fedeli. Ma dovrà anche trovare un modo per far loro comprendere dei concetti impossibili da tradurre o da capire per chi non ha mai visto un pesce, simbolo così necessario al cristianesimo o non sa cosa distinguere tra i concetti di uomo e donna. La domanda che sorge quindi è: il messaggio di Dio è veramente universale? 

Non consiglio questo libro a chi non ama le letture a ritmo più contenuto, a chi non ama immergersi nel piacere della lingua e a chi preferisce tenersi alla larga dalle visioni 'di parte' (Peter si lascia sfuggire un'opinione poco elegante sull'Islam...). Consigliato a tutti gli altri.

lunedì 2 maggio 2016

Rainbow challenge: Aprile

Buongiorno,
Aprile è finito e quindi qui presenterò i libri letti durante il mese scorso per la Rainbow Challenge di Ilenia (qui il link per la partecipazione, l'iscrizione è ancora aperta). La sfida è molto semplice, basta leggere 6 libri con colori di copertina diversa da aprile fino a giugno. Si può fare!
Qui il link alle recensioni di aprile di Ilenia: Rainbow challenge: recap di aprile

Copertina rossa: La ragazza dello Sputnik di Haruki Murakami

Trama: 
Sumire, una riservata aspirante scrittrice, disorganizzata e impulsiva, incontra la matura, e sposata Myu, ricca donna d'affari, dalla vita molto regolata e schematica. L'incontro le cambia la vita, portandola a lavorare per questa donna che presto scoprirà di amare incondizionatamente. La storia viene narrata però dal punto di vista del migliore amico di Sumire, che verrà presto coinvolto in un mistero dai toni inesorabilmente maliconici.

Recensione:
Definirei questo romanzo come un Murakami classico, ottimo per chi si vuole approciare per la prima volta a questo autore (anche perché conta poco più di 200 pagine), perché contiene tutti gli elementi a lui più cari: la musica classica, dei personaggi dalla psiche confusa e alienata, un viaggio in Occidente e dei bizzarri accadimenti dal forte sapore onirico.
La storia d'amore che viene narrata è tenera e quindi fragile, con un elemento tragico intrinseco che tiene sulle spine il lettore. Il personaggio di Myu (che somiglia molto alla protagonista di 1Q84) non si riesce a comprendere fino in fondo e anche quando si apre al narratore, condividendo un momento della sua vita fondamentale e molto complesso, non riesce a spiegarsi comunque, restando in qualche modo irraggiungibile, proprio come il satellite che lei comicamente confonde con la Beatnik Generation che Sumire adora.
I personaggi di Murakami sono sempre in qualche modo fuori dal mondo, sospesi in un limbo, in attesa di qualcosa. E la sua scrittura trasmette molto bene questa sensazione di sospensione e attesa, da sala di attesa di un aereoporto. Sumire è incapace di portare a termine o anche solo iniziare un romanzo, per quanto la scrittura sia la sua vita. Qualcosa la blocca e la fa rimandare. Anche nel suo rapporto con Myu questo sarà l'elemento caratterizzante e solo quando si deciderà a dichiararsi le cose si metteranno improvvisamente in moto, anche troppo in fretta.
Quello che risalta poi sempre nei suoi romanzi, è la passione di questo autore per l'Occidente, in questo caso si parla di Italia ma anche di Grecia, paesi che attraverso i suoi occhi assumono un aspetto esotico e quasi magico. Quanto mi piacerebbe vederli così... L'isola sulla quale si rifugiano le due donne ha una forte reminescenza da Odissea, ricordando l'isola di Calipso, un paradiso in terra, in cui il tempo sembra fermarsi. Ma prima o poi le ruote del tempo devono riprendere a girare, cosa accadrà allora?


Copertina bianca: In altre parole di Jhumpa Lahiri 


Il bianco conta come colore? O è l'assenza del colore? Facciamolo contare. Questo libro mi è piaciuto moltissimo e ne ho parlato con fervore e passione qui: recensione
















Chissà che colori appariranno il mese prossimo...

lunedì 18 aprile 2016

Tag: Ingredienti libreschi

Ilenia l'altro giorno ha pubblicato un Tag molto carino sul suo blog Libri di cristallo.
Il tag combina cibo e libri, sempre un'ottima accoppiata!
Bando alle ciance, ecco le domande:

1. Prezzemolo: un libro che vedi ovunque: 
Molto indecisa su questo, mi sembra che le librerie abbiano tutte e sempre le stesse cose ormai, ma tra i libri che vedo sempre in primo piano ci sono eternamente L'alchimista di Paolo Coelho e i libri di Clara Sanchez... Garzanti, non hai nient'altro da proporre??



2. Cipolla: un libro che solo a sentirlo nominare ti metteresti a piangere:
Non mi è molto chiaro per quale motivo dovrei piangere, ma visto che abbiamo a che fare con le cipolle rispondo con qualcosa dalle lacrime facili, automatiche: il diario di Anne Frank. Non penso abbia bisogno di spiegazioni.

3. Caffé: un libro che ti ha tenuta sveglia:
Sono molti i libri che mi hanno tenuto compagnia ad orari notturni improponibili (con devastanti conseguenze diurne). Ultimamente forse solo la trilogia Hunger Games. In particolare citerò il secondo volume, che è forse quello dei tre che mi è piaciuto di più. 
Avrei in effetti proprio voglia di uno di quei libri impossibili da mettere da parte per dormire!



4. Patatine Fritte: una serie che non hai potuto fare a meno di leggere tutta d'un fiato, un libro dopo l'altro:
La trilogia Divergent di Veronica Roth. Ma in generale queste trilogie da giovani adulti sono tutte scritte in modo da farti voler leggere i seguiti subito. Idem anche per le cronache lunari di Marissa Meyer. 




5. Lievito: un libro il cui successo è stato montato troppo:
Allora, qua citerò due classici che secondo me sono molto sopravvalutati: Il giovane Holden di Salinger e Il grande Gatsby di Fitzgerald. Capiamoci, se il primo mi è stato proprio antipatico, il secondo non mi è affatto dispiaciuto. Ma vista la fama che si portano dietro mi aspettavo molto, ma molto di più. 



6. Cupcake: un libro dalle mille sfumature e colori:
Non possiedo molti libri super colorati o a tinte sfavillanti. Mi viene in mente però Amrita di Banana Yoshimoto (devo ancora leggerlo), che ha una bella sfumatura di colori.
Nota: non mi piacciono i cupcake super colorati! Lo so, sarò in minoranza, ma li preferisco con colori naturali, una bella crema bianca al limone o marroncina al cioccolato. molto più invitante!

7. Olio: un libro che ti è scivolato via dalla mente:
La congiura di Merlino di Diane Wynne Jones. So di aver letto questo libro molti anni fa, ricordo la copertina ecc, ma non mi ricordo assolutamente niente della trama. Temo che voglia dire che non mi ha fatto impazzire...



8. Limone: un libro che è piaciuto a tutti ma che a te ha fatto rizzare i peli:
In che senso, scusate? Perchè i limoni piacciono a tutti? Boh! Comunque dirò Eragon, di Christopher Paolini. Mi dispiace, ma non ci siamo proprio. 

Tag: TUTTI!!! Muahahahah! 

venerdì 15 aprile 2016

Recensione #12: In altre parole - Jhumpa Lahiri

Scrivo subito questa recensione perché questo libro è bellissimo!

Ho scoperto Jhumpa Lahiri casualmente l'anno scorso, cercando testi di autori con un background multiculturale per la tesi. La sua raccolta di racconti Interpreter of Maladies (L'interprete dei malanni?) mi ha catturata. Una prosa coinvolgente e toccante, personaggi ben caratterizzati e vivi, un'ambiente culturale molto ricco e particolareggiato. Insomma, scrive molto bene la signora Lahiri. Di origini bengalesi, ha vissuto la maggior parte della vita negli Stati Uniti e scrive in lingua inglese. O meglio. Scriveva in inglese. Perchè da un po' di tempo la signora si è perdutamente innamorata della nostra lingua, l'ha studiata e ormai la padroneggia così bene, da essere in grado di scrivere direttamente in questa lingua. Ecco. Questo libro racconta proprio questa storia. 
In lettura dovevo ricordarmi di tanto in tanto, che quest'autrice non è italiana, perchè la sua padronanza del linguaggio è eccezionale. Sicuramente si è fatta aiutare e correggere, ma in ogni caso, scrivo in un modo in cui io non scriverò mai. A prescindere.
Descrive qui il suo folle innamoramento con l'italiano, accaduto per caso, quasi, e poi impossibile da mettere da parte. La storia inizia con un viaggio in Italia, con la sorella, per ammirare l'architettura, soprattutto quella di Firenze. Ma Jhumpa si accorge di qualcos'altro oltre all'arte:

Ma dall'inizio il mio rapporto con l'Italia è tanto uditivo quanto visuale. Benchè ci siano poche macchine, la città [Firenze] ronza. Mi rendo conto di un rumore che mi piace, delle conversazioni, delle frasi, delle parole che sento ovunque vada. Come se tutta la città fosse un teatro che ospita un pubblico leggermente inquieto, che chiacchiera, prima dell'inizio dello spettacolo. (pp. 21-22)

Di ritorno da questo viaggio inizia a studiare la lingua, prima da sola, poi con vari insegnanti. Fino alla fatidica decisione: trasferirsi a Roma con la famiglia. L'impatto con la città eterna è forte, è un mondo diverso per lei che ha sempre vissuto in America, ma finalmente è immersa nell'italiano, è costretta ad usarlo costantemente. E decide di iniziare a scrivere in questa lingua. L'impresa è impegnativa, molto faticosa, frustrante, ma se c'è una cosa che si capisce di questa donna, è che quando si mette in testa una cosa niente e nessuno è capace di distoglierla. Una forza di volontà di ferro!
E poi, si trova davanti l'occasione di scrivere un pezzo in italiano e doverlo tradurre in inglese. Di tradursi insomma, una cosa che non molti autori fanno:

Finora l'analogia era sempre stata romantica: un colpo di fulmine, un innamoramento. Adesso, mentre traduco me stessa, mi sento la madre di due figli. Mi accorgo di aver cambiato il mio atteggiamento nei confronti della lingua, ma forse il cambiamento riflette uno sviluppo, un percorso naturale. [...] Provo una passione ancora più intensa, più pura, più trascendente per i miei figli. La maternità è un legame viscerale, un amore incondizionato, una devozione che va oltre l'attrazione e la compatibilità. (pp. 91-92)

Sono molto curiosa di vedere come andrà avanti questo percorso. L'autrice sembra molto convinta a voler scrivere solo in italiano ora come ora e non penso che le manchino le capacità per farlo.
Consiglio questo libro a tutti quelli che, provengono da un ambito multilinguistico e sanno cosa vuol dire navigare tra lingue diverse e non sapere con quale identificarsi. Ma anche a chi a fatica ama e studia una lingua straniera, che vorrebbe fare sua, ma per la quale si sente sempre incompleto e distante. Ecco, la Lahiri conosce a fondo queste situazioni e le sa esprimere al meglio, Sembra saer leggere i miei pensieri e dotarli di una compattezza linguistica, che nella mia testa non hanno. Grazie.

lunedì 4 aprile 2016

Recensione #11: The Buried Giant - Kazuo Ishiguro

A molti mesi di distanza da Mantova e il suo festival, durante il quale ho avuto il piacere di vedere e ascoltare il signor Ishiguro, sono finamente riuscita a leggere il suo ultimo romanzo! Mi sono avvicinata alla lettura con trepidazione e timore, perché le recensioni che avevo sentito non erano molto positive. L'opinione generale era che il romanzo deludeva le aspettative degli amanti di Ishiguro, ovvero la cosa peggiore che si possa sentire a proposito di un autore che si segue con passione. E  purtroppo devo ammettere da subito che ha deluso anche me...
Traduzione italiana: Il gigante sepolto (edito Einaudi, traduzione di Susanna Basso)

Trama:

Siamo in Inghilterra, in un periodo imprecisato della lotta fra Sassoni e Britanni, molti anni dopo la morte del leggendario re Artù. Su queste terre regna una fragile pace e il pericolo maggiore per gli abitanti che vivono in piccoli villaggi sparsi tra le nebbie sembra provenire da un drago addormentato. Le fitte nebbie che ricoprono le valli causano una perdita collettiva della memoria, ma solo Axl e Beatrice, un'anziana coppia di britanni, sembra accorgersene. I due decidono di intraprendere un viaggio per andare a trovare il figlio, il quale abita in un altro villaggio. Non ricordano esattamente dove il figlio abiti, né il suo aspetto e tantomeno il motivo per cui se n'è andato. Ma sentono che il viaggio ormai è inevitabile ed è stato rimandato troppo spesso. 
Durante il viaggio incontrano vari personaggi, persi nelle nebbie fisiche e psicologiche come loro, tra i quali il giovane Edwin, allontanato dal suo villaggio sassone per la pericolosa ferita che porta e il guerriero Wistan, incaricato di proteggerlo, ma non solo... Incontreranno anche l'anziano cavaliere della tavola rotonda Galvano, l'ultimo baluardo di un passato dimenticato, che deve affrontare il pericoloso drago Querig e il suo destino. 
Insieme affronteranno un cammino sempre più intricato che li avvicinerà al loro passato e alle memorie che hanno perso e forse non dovrebbero recuperare...

Recensione:

La trama sembrava davvero promettente. L'ambientazione medievale ricca di cultura e mitologia, re Artù e un interessante percorso tra la favola e il racconto a trama psicologica. Il risultato però era molto confuso. Si fa fatica a seguire la trama, e i continui cambi di punto di vista non aiutano. Per quanto normalmente Ishiguro padroneggi molto bene la narrazione con un narratore inaffidabile, in questo caso la cosa gli è un po' sfuggita di mano. Le parti che seguono Galvano ad esempio somigliano a un debole flusso di coscienza, che però in un racconto già così confuso e vaporoso non portano da nessuna parte. Capisco che l'autore volesse riproporre la sensazione di confusione data dalla nebbia onnipresente del romanzo, ma una narrazione più lineare avrebbe reso la lettura molto più scorrevole e comprensibile. 
La ricostruzione storica è molto bella e dettagliata e ci si perde con piacere nel paesaggio. Avrei però forse desiderato più dettagli e nozioni sulle differenze tra sassoni e britanni e una descrizione maggiore del convento di monaci nel quale i personaggi si rifugiano per un periodo e dal quale devono fuggire in tutta fretta. 
Molto interessante è il personaggio del traghettatore, di molteplice origine mitologica, che traghetta sull'isola leggendaria (sarà Avalon?) soltanto le coppie il cui legame è autentico e puro. La tensione crescente che porta Axl e Beatrice verso il confronto con questo personaggio e l'esame del loro rapporto era per un elemento portante del romanzo.
Mi aspettavo però un focus maggiore su Axl e Beatrice e sul loro rapporto di coppia, che è sicuramente presente, ma frammentariato con le storie degli altri personaggi e rimandato tutto ad un epilogo finale. Il libro si conclude lasciando aperte molte domande e non avendo chiarito davvero fino in fondo la questione principale.
In conclusione, ho trovato molto più interessante il discorso fatto da Ishiguro a Mantova sulla memoria e l'importanza dell'oblio per il mantenimento della pace. Speravo che avrei ritrovato queste tematiche in maniera più approfondita nel romanzo. 

giovedì 10 marzo 2016

Tag: Primavera tra le pagine



Buongiorno!
Manca poco all'inizio ufficiale della primavera e nonostante l'inverno quest'anno non sia stato affatto gelido e cupo come di consueto, non vedo l'ora di fiori, sole, caldo e uccellini! :)

Quindi, ecco un tag che esprime tutta la mia voglia di primavera e fiori petalosi:

1. Il generale Inverno sta per andarsene: quale libro di quest'inverno ti è rimasto impresso?

Ho iniziato il 2016 rileggendo Wuthering Heights (Cime tempestose) di Emily Brontë, che in seconda lettura, e a distanza di alcuni anni, ho apprezzato molto di più! Il freddo e l'umidità di Treshold Grange valicavano le porte del libro e io mi sono protetta  con coperta, termosifone e litri di tisane calde! Ora sono molto curiosa di leggere Nelly Dean - A return to Wuthering Heights di Alison Case, incentrato sull'unico personaggio del romanzo con il quale mi sono sentita davvero in sintonia.



















2. Inizia la stagione dei vestiti a cipolla e del foulardino in borsetta: quale libro ti sei portato/a dietro per praticità?


Tendo sempre ad avere un libro in borsa, per le tratte di autobus, di treno, le attese e code. Non si sa mai! Faccio in modo che si tratti di un libro piccolino e leggero, ma ho portato anche dei tomi più pesanti... Ultimamente avevo in borsa Le notti bianche di Fyodor Dostoyevsky, interessante storia di passioni giovanili e promesse sussurrate in piena notte...



3. Rose, viole e lillà: un libro dalla copertina fiorita



Non leggo quasi mai libri con copertine a tema fiori, ma qualche eccezione si trova sempre: Glitches di Marissa Meyer. Una delle novelle del ciclo delle Cronache lunari, che sono uscite in ebook ed ora in'un unica edizione cartacea. La saga è una simpatica riscrittura in chiave fantascientifica di alcune fiabe classiche e questa novella è incentrata su Cinder, la cyborg-Cenerentola di questa storia. 
La città dei fiori di Mary Hoffman è il secondo volume della saga Stravaganza, fantasy per ragazzi ambientato in un'Italia rinascimentale parallela (e diversa) dal nostro mondo e di alcuni ragazzi del nostro mondo che la raggiungono con l'ausilio di un'oggetto magico. 
E infine Cronaca di una morte annunciata di Gabriel Garcìa Marquez, novella che segue la triste vicenda di un delitto al quale nessuno si oppone, dal forte respiro cristiano.

4. La rinascita della natura: Un libro che parla di natura e piante



L'anno scorso ho letto il bizzarro ma interessante romando di Alessandro Fullin (geniale maestra di 'tuscolano' in TV) dal titolo Panico botanico. Ambientato in una villa vittoriana con un'enorme giardino botanico,il romanzo segue le assurde vicende di due amiche con una comune passione per il verde e un rampicante fuori controllo. 


5. Etciù: A quale tema, tropo o espediente letterario sei allergico/a?

Non sopporto assolutamente i rapporti di coppia impari (anche nella vita vera), soprattutto quando vengono presentati come positivi o addirittura come modelli di riferimento. Uno dei motivi per cui non mi sono ancora avvicinata a Nabokov...
E mi annoiano abbastanza i romanzi epistolari o in forma diaristica. Preferisco di norma una narrazione in terza persona e la prima persona solo in pochi casi.



6. Pioggia a catinelle: un libro che ti ha fatto piangere.

L'ultimo romanzo storico che ho letto: the Nightingale di Kristin Hannah (qui la recensione). Le lacrime erano inevitabili...

7. Pesce d'aprile! Un libro che ti ha colto di sorpresa o ti ha dato una bella fregatura!

Qua posso citare il già recensito Branchie di Niccolò Ammaniti (e parliamo pure di pesci...), dal quale mi aspettavo tutt'altro e che invece mi ha soltanto delusa e disgustata...

8. 21. Marzo: ci siamo! Cosa non vedi l'ora di leggere questa primavera?

Non faccio mai dei piani di lettura precisi, ma penso che andrò avanti con la serie della Torre Nera di Stephen King (sono a metà del secondo libro) e ho voglia di prendere in mano In altre parole di Jhumpa Lahiri, saggio sulla scrittura e sulla sua passione per la nostra lingua.

















9. Gita fuori porta: in quale libro ti piacerebbe fare una bella gita?

Forse tra i pomi fioriti dell'isola di Avalon, nella serie di Marion Zimmer Bradley o in qualunque romanzo ambientato in Giappone durante la fioritura dei fiori di ciliegio! In un romanzo di Kawabata magari, o Natsume Soseki...



10. tag time! Tocca a voi:

e chiunque abbia voglia di mettere via il cappotto!



lunedì 7 marzo 2016

Recensione #10: The Nightingale - Kristin Hannah

Con le nebbie e la neve che ci ha sorpreso in questa prima settimana di marzo mi metto a recensire un romanzo finito un po' di tempo fa e che mi ha tenuto sveglia fino a tarda notte...

Il romanzo in questione è The Nightingale di Kristin Hannah (2015), tradotto in italiano col titolo L'Usignolo e pubblicato da Mondadori a gennaio di quest'anno. (traduzione di Federica Garlaschelli)
Si tratta di un romanzo storico, vincitore del Goodreads Choice Award 2015 per la categoria 'Historical Fiction'.
L'autrice californiana in patria ha un enorme successo come scrittrice di romanzi d'amore e a sfondo storico (le sue copertine dalle tinte pastello dicono tutto...), e ha trionfato nelle classifiche con questo dramma familiare.
Dico da subito che per questo romanzo servono un bel po' di fazzoletti e una calda bevanda coccolante, perché le lacrime non mancheranno... E lo dico da lettrice non particolarmente emotiva.

In love we find out who we want to be.
In war we find out who we are.

Trama:
La storia inizia negli anni '90 negli Stati Uniti e un'anziana narratrice si trova a fare i conti con un passato che aveva messo in soffitta (letteralmente). Il suo racconto ci porta a Carriveau, un paesino nella provincia francese, dalle parti di Lyon nel 1940. Vianne Mauriac, insegnante, vive una pacifica vita assieme a suo marito Antoine e sua figlia, dopo aver superato un difficile passato di abbandoni ed esser stata costretta a crescere e diventare grande molto prima del previsto. Ha un difficile e praticamente inesistente rapporto con la sorella minore Isabelle, una diciottenne ribelle e indipendente che ha passato l'infanzia a scappare dalle varie scuole in cui venne mandata. Ma siamo agli albori di una guerra che tutti temono e la vita di Vianne viene sconvolta quando suo marito viene spedito al fronte e Isabelle si rifugia da lei. Gli anni della guerra cambieranno le due sorelle radicalmente e le metteranno di fronte a delle scelte impossibili.
Mentre la protettiva e timorosa Vianne aspetta il ritorno del marito e si sottomette ad ogni decisione impostale dall'esterno, fino ad accettare in casa un soldato nemico, Isabelle dichiara fin da subito che non resterà con le mani in mano e difenderà la sua nazione dall'invasione nazista a qualunque costo. La coraggiosa ragazza non ci penserà due volte ad unirsi alla resistenza e a mettere in pericolo la propria vita, e non solo, per la causa francese. 

Cosa ne penso:
Come dicevo prima, questo libro mi ha tenuta incollata alle pagine e l'ho terminato in una lunga nottata perché non riuscivo a dormire senza sapere come andava a finire. Ma ammetto anche, che è stato un piacere terminare la lettura e tornare al presente...
Per quanto sapessi già a cosa andavo incontro leggendo una storia ambientata in questo contesto storico, il dolore e il male che ci possono essere in questo mondo non finiscono mai di stupirmi e arrivo impreparata a certe scene, incredibili e purtroppo molto realistiche. Non mi è possibile mettermi nei panni di chi ha vissuto le atrocità e le barbarie della seconda guerra mondiale e una parte di me ne è egoisticamente contenta. Ho sofferto molto assieme a queste due donne spettacolari e a ogni pagina mi sentivo scendere sempre di più in un abisso dal quale solo la mia conoscenza della storia mi salvava. Avrei voluto comunicare con Vianne e Isabelle, per dire loro che la guerra sarebbe durata a lungo, sarebbe stata terribile, ma che sarebbe anche finita prima o poi. 
Kristin Hannah non ci risparmia nulla, gli orrori della guerra e la disperazione percepita sono ovunque, ma si concentra anche su degli aspetti apparentemente minori, ma vitali in una vita di provincia: la solidarietà con i compaesani che viene messa alla prova e infine distrutta dall'arrivo in paese dei tedeschi. La sfiducia totale nel prossimo che il loro sistema di spionaggio è riuscito a compiere, ma al contempo il coraggio e l'altruismo che sono riusciti a brillare nell'oscurità. 
La trama viene sviluppata in maniera molto avvincente e spesso imprevedibile da parte dell'autrice, ma lo stile di scrittura non mi ha fatto impazzire. Troppo descrittiva in momenti superflui (non mi interessa conoscere ogni singolo quadretto e vasetto presenti nel soggiorno di Vianne), tende spesso a entrare nella mente dei suoi personaggi e a offrirci i loro pensieri, confezionati come un melodramma, abusando un po' troppo delle domande retoriche. Capisco però che questo stile è affine al genere letterario al quale appartiene questo romanzo e al quale io non sono particolarmente avvezza. Ma le passioni e i sentimenti che la Hannah è riuscita a trasmettere sarebbero stati possibili anche senza queste intrusioni costanti nell'intimità dei pensieri di Vianne e Isabelle.

Consigliato a chi ama leggere storie di donne complesse e sfacettate, di guerra e orgoglio patriottico, di forza d'animo e naturalmente d'amore, capace di imprese impossibili.

venerdì 29 gennaio 2016

Recensione #09: The Day of the Triffids - John Wyndham

Oggi parliamo della fine del mondo.

Più o meno. Il romanzo in questione è un cosiddetto 'post-apocalittico', racconta quindi la fine del mondo civilizzato e la sopravvivenza di un gruppo di persone in un ambiente completamente diverso da quello al quale erano abituati.
Questa bella edizione inoltre (Penguin Modern Classics) viene direttamente dal Regno Unito!

John Wyndham scrive questa storia (che in Italia è uscita con il nome di 'Il giorno dei trifidi', edito da Fanucci, nella collana Immaginario Solaria), nel 1951. L'ambientazione è Londra, in piena guerra fredda. 

Trama:
Bill Masen si sveglia una mattina in ospedale, con le bende agli occhi a causa di un'infezione, e capisce subito che qualcosa non va. Il silenzio che lo circonda, come dice lui, è 'da domenica, non da mercoledì'. Nessun infermiere viene a portargli la colazione e soprattutto a togliergli le bende, come previsto. In strada non si sente nessun rumore di macchine o persone. Cominciamo male.
Cos'è successo mentre Bill era in ospedale bendato? La terra ha assistito alla pioggia di meteoriti più spettacolare della storia. Tutti sono corsi in strada a vederla. Tranne Bill.
Ma quando Bill trova il coraggio di togliersi le bende da solo, scopre con orrore che tutte le persone che incontra sono diventate cieche. Da un giorno all'altro. E di conseguenza il mondo si è fermato.
Ma cosa sono i trifidi? E cosa c'entrano in questo scenario già abbastanza drammatico?
Alcuni anni prima dell'accaduto i russi scoprono una nuova specie di pianta, che cresce molto facilmente, in qualsiasi territorio e dalla quale si ricava un olio molto economico. Viene progettata l'esportazione della pianta all'estero, ma uno degli aerei che ne trasporta i semi subisce un incidente e precipita. I semi che trasportava si liberano nel vento...
Il piccolo Bill scopre una pianta nuova nel giardino di casa, dal fusto molto alto e con uno strano pungiglione. Mentre al mondo si moltiplicano le apparizioni di queste piante, chiamate trifidi, si scoprono due caratteristiche molto particolari: 1. la pianta è carnivora e usa il suo pungiglione per avvelenare le proprie vittime
 2. la pianta cammina.
Anzichè debellare subito questa pianta, viene coltivata e tenuta sotto controllo, nei giardini pubblici, allo zoo... Tutti ne vogliono una. E Bill, ormai diventato grande, si dedica alla coltivazione e allo studio dei trifidi, divenuti una passione. Ma un suo collega un giorno gli confida un pensiero che non lo abbandonerà più e che si rivelerà profetico: "I trifidi sono molto intelligenti, l'unica svantaggio che hanno nei nostri confronti è la vista. In una gara tra un uomo cieco e un trifide non ho dubbi su chi vincerebbe..."

La storia si sviluppa da questo punto come un romanzo di sopravvivenza in un mondo allo sbaraglio, in cui le piante si trovano improvvisamente in vantaggio. Riuscirà Bill a sopravvivere e a rifarsi una vita? E come si fa a ricostruire una società partendo da zero?

Cosa ne penso:
La trama e l'ambientazione di questa storia sono molto coinvolgenti e avvincenti. Ma oltre all'avventura, alle inventive necessarie per la sopravvivenza, Wyndham si dedica molto anche alla solitudine e alle relazioni interpersonali che si sviluppano. Bill scopre presto di non essere l'unico vedente in un mondo di ciechi, ma il divario tra i due gruppi è notevole e viene vissuto in maniera molto diversa da ognuno. La questione che si pongono i vedenti è quale sia la cosa più umana da fare: aiutare chi non ce la può fare da solo o abbandonare i non vedenti al loro destino, già segnato e non prolungare una sopravvivenza che non può durare. Egoismo o altruismo. 
L'aspetto sociale di questa storia è probabilmente quello che colpisce di più, perchè è molto facile immedesimarsi con i protagonisti e capire i loro dilemmi. I sopravvissuti cercano di ricostruire un mondo non ancora in macerie, ma che loro già vedono come tale e hanno il difficile compito di decidere che tipo di società vogliono mettere in piedi. Una scelta mai facile. 


Consiglio questo libro agli amanti del genere, a chi vuole scoprire le radici degli odierni romanzi distopici e post-apocalittici, a chi adora l'ambientazione anni '50. 


giovedì 21 gennaio 2016

Short Stories #01 - Straight Fiction di Martin Amis

Vorrei iniziare a parlare di un genere letterario che ho iniziato ad approfondire negli ultimi anni, ovvero i racconti, o short stories. I racconti, a differenza dei romanzi, permettono un respiro di lettura molto diverso e possono narrare delle storie o degli scorci di storie, con una strutturazione molto diversa. Trovo che siano un ottimo luogo dove partire per scoprire autori e autrici nuovi, perchè ci si prende il tempo di leggere con maggiore attenzione ogni frase e parola scelte per narrare la vicenda e si è in grado di apprezzare molto meglio lo stile dell'autore, la sua scelta lessicale, i suoi focus.

Qui parlerò quindi dell'ultimo racconto che ho letto, Straight Fiction, dell'inglese Martin Amis. Ho trovato questo racconto nelle edizioni con testo originale a fronte usciti con La Repubblica l'anno scorso.

Martin Amis, figlio del celebre scrittore Kingsley Amis, scrive dagli anni '70 (del 1973 è The Rachel Papers, il suo romanzo d'esordio) e viene considerato uno dei maggiori autori contemporanei sperimentali e dissacranti.
Il racconto in questione è tratto dalla raccolta Heavy Water and Other Stories del 1983 (in italiano Cattive Acque, ed. Einaudi, 2000), e presenta a fronte anche la traduzione di Massimo Bocchiola.

Questa storia propone al lettore un mondo capovolto, un mondo in cui l'omosessualità è la norma, e l'eterosessualità viene vissuta come stile di vita alternativo, innaturale e bizzarro. Questa visione viene giustificata dall'idea che l'animale in natura preferisce l'altro sesso, per la riproduzione della specie, l'uomo invece è superiore allo stato di natura e quindi preferisce il proprio sesso, mentre la riproduzione della specie avviene soltanto in laboratorio.
Cleve, l'io narrante della storia, vive una vita molto comune, tra i compagni che cambia continuamente e le infinite sessioni di body-building in palestra e la lettura. Finchè un giorno non incontra Cressida, appassionata di letteratura quanto lui, ma attivista etero. L'amicizia tra i due dovrà superare non pochi ostacoli, come la gravidanza di Cressida e porterà il protagonista a riconsiderare molti aspetti della sua vita.
La storia è naturalmente soltanto una scusa per parlare di stereotipi. Cleve e i suoi fidanzati (Orv, Irv, Grove... altro non sono che varianti dello stesso Cleve) sono stereotipi viventi, fanno bodybuilding, prestano un'eccessiva attenzione a quello che mangiano, si vestono da poliziotti.. incarnano insomma l'idea anni '80 degli omosessuali britannici. I due etero della vicenda invece, Cressida e John, non hanno nulla di identificabile, nessun segno distintivo, abbigliamento d'appartenenza. Banali. Forse il messaggio che Amis vuole mandare è quanto "l'altro" rappresentato qui, non sia poi così bizzarro, così diverso. Qualunque sia il punto di vista dal quale si guarda. 
L'elemento preponderante della storia e il legante tra Cleve e Cressida è la letteratura. La quale subisce anch'essa un'inversione d'orientamento. Pride and Prejudice diventa un classico della letteratura normata, la storia d'amore tra Elisabeth Bennet e Charlotte Lukas dunque e Oscar Wilde viene rivelato a Cleve come un palese scrittore 'etero'. 
Il gioco d'inversione della norma segue la sempre maggiore consapevolezza di Cleve della presenza attorno a se di elementi 'straight', d'apprima vissuta con incertezza, poi difesa strenuamente dal disprezzo crescente dei suoi ragazzi. L'abbandono della "retta" linea (ah no, il contrario) avverrà di conseguenza. 
L'ironia della storia è sottile e funziona solo invertendo nuovamente le parti, comprendendo che non è un orientamento rispetto all'altro che viene ridicolizzato, ma la percezione che di essi si può avere.

"Jesus, is nothing sacred? Christ, where do they get off calling themselves straight? They take a fine old English word and fuck it up for the rest of us."
"It's a word we use a lot. I keep noticing it. Straight and narrow."
it. "Dio Santo, ma non c'è più niente di sacro? E poi Cristo, questo fatto che chiamano se stessi 'naturali'? Ci rubano una sana vecchia parola inglese e ce la inculano senza ritegno."
"E' una parola che usiamo così spesso. Continuo a inciamparci. Talento naturale."
(pp. 26 e 27) 

 
 
 

mercoledì 13 gennaio 2016

Recensione #08 Guanciale d'erba - Natsume Soseki

Questo romanzo è adatto a chi ha voglia di prendersi una bella pausa dallo stress quotidiano della città e del 21° secolo. Il respiro rallenta e già dopo alcune pagine ti senti meglio. 



Titolo originale: 草枕 Kusamakura

anno di pubblicazione: 1906
traduzione italiana: Lydia Origlia
casa editrice: Neri Pozza


Il 'romanzo' parla di un giovane pittore, o meglio un artista nel profondo, un poeta nell'anima, che decide di passare alcune notti in una casa da tè in mezzo alle montagne giapponesi, lontano da tutto e da tutti. Il pittore, l'io narrante della storia, spera di trovare qui l'ispirazione per dipingere, ma viene costantemente distratto dalle persone che incontra e dalle storie che gli vengono narrate. Da tipica tradizione giapponese queste storie parlando di fantasmi e pallide ragazze in kimono che fluttuano nella campagna. Ma la forza della storia a dir la verità, non sta nella trama. Quest'ultima è quasi assente. Il protagonista ha delle interessanti conversazioni con eccentriche signore, barbieri dal dubbio talento e vivaci monaci zen, ma tutti questi discorsi non portano molto lontano. Ciò che si può davvero apprezzare, sono i pensieri di questo artista, il mondo che viene ritratto attraverso i suoi occhi. Potrei definire questo libro una poesia in prosa, un estetico piacere musicale per le nostre orecchie. La calma e la tranquillità che riesce a trasmettere Soseki rendono la lettura di questa storia una rilassante meditazione zen.

Siedo solitario in un fitto bosco di bambù
suono l'arpa e modulo una canzone.
Folto è il bosco e non vi è ombra di uomo
(solo) la fulgida luna viene a illuminarmi.
 (p. 13, traduzione di una poesia di Wang Wei, poeta cinese, 699-759 d.C.)

Il romanzo viene, comprensibilmente paragonato a Walden di Thoreau (che ammetto di non aver letto, ma capisco bene il paragone), con l'aggiunta però di una fascinazione esotica data dall'ambientazione. Troviamo anche numerosi poesie giapponesi del '600 e '700 e riferimenti all'arte occidentale, in particolare ai romantici e preraffaelliti inglesi. Molti i pensieri sull'arte, il suo scopo (estetico per il protagonista) e la superiorità della natura rispetto alla civiltà. La natura per Soseki non sarà buona, è spesso crudele, ma non guarda in faccia nessuno, non fa distinzioni, è equa. 
Alla fine, l'eco della guerra russo-giapponese si farà sentire, anche se solo lontanamente, nel lontanto paesino in mezzo alle montagne, un chiaro segno per il pittore che è ora di tornare in città, che non si può dimenticare il mondo, perchè il mondo prima o poi ci raggiungerà.
Bellissimo l'italiano di Lydia Origlia:
"Se dipanassi il filo delle lacrime del vecchio troverei che si assottiglia sempre più fino alle lacrime. Ma è un uomo e non si lascia indurre a mostrarle." (p.166)


lunedì 4 gennaio 2016

Nuovi inquilini #03 Natale 2015

Quest'anno Babbo Natale è stato molto attento ai miei desideri letterari e mi ha portato un bel numero di libri che ho già felicemente sistemato nella mia libreria.


 - The Nightingale (Kristin Hannah): Questo regalo è stato giustificato con un 'me l'ha detto Goodreads!' Romanzo storico ambientato in Francia durante la seconda guerra mondiale. Non voglio sapere altro. La copertina è molto bella.


















 La ragazza dello Sputnik (Haruki Murakami): Chi mi conosce sa che Murakami con me è sempre una certezza, soprattutto se regalato nelle nuove edizioni tascabili Einaudi. Di questo in particolare ho sentito pareri discordanti, ma non importa, vorrei leggere qualsiasi cosa scrive...


 - Underground (Haruki Murakami): Lo stesso discorso vale per questo libro. Ma questo ci tenevo davvero molto ad averlo e leggerlo. Murakami si confronta con una delle tragedie di maggiore impatto degli anni '90 in Giappone, l'attentato al gas Sarin nella metropolitana di Tokyo. Non sarà certo una passeggiata...






 - Harper Lee Boxset: Questo cofanetto contiene i due romanzi di Harper Lee (To Kill A Mockingbird, recensione qui e Go Set A Watchman), in edizione rilegata con copertina originale. Così potrò rileggere TKAM e finalmente addentrarmi nel romanzo più atteso dell'anno scorso. I timori non sono pochi, viste le recensioni di quest'ultimo, ma è una lettura alla quale non posso proprio sottrarmi!






 - William Shakespeare's Star Wars (Ian Doescher): Il libro è esattamente quello che promette di essere, ovvero Guerre Stellari, Una Nuova Speranza, come se l'avesse scritto il bardo nel '600. Quindi, un'opera teatrale, con tanto di atti, dramatis personae, il coro e soliloqui. Impagabili i 'dialoghi' con R2D2...








Bene, ora serve solo molto tempo libero per leggere tutto con calma. :)