mercoledì 2 maggio 2012

Recensione #03 Lo straniero - Albert Camus

Sfogliando il mio diario di lettura mi imbatto in Camus, Albert Camus e il suo straniero ( L'étranger). Questo libro era la prova finale di francese per il terzo anno. Avevamo alcuni libri a scelta e questo era...il più breve. Si, ammetto che la scelta era dettata dal numero di pagine, ma onestamente, scrivere una critica letteraria su un mattone dell' 800 sarebbe stata un'impresa impossibile.

Dunque, innanzitutto sono stata molto contenta della facilità di lettura del libro,scorre bene, con frasi comprensibili e una scelta lessicale decisamente gradita da una straniera come me. E poi mi ha dato la sensazione d'aver letto qualcosa di davvero importante, qualcosa che fa parte della Storia, con la 's' maiuscola. Come dire, wow, ho letto qualcosa di figo! Ah, il libro è del 1942.

Trama:
Meursault, il protagonista vive nell'Algeria occupata dai francesi e si sente 'estraneo' al mondo in cui si trova, suo malgrado, immerso. Per una combinazione di eventi e persone si trova coinvolto in una faida tra il suo vicino di casa e un gruppo di algerini e si trova ad uccidere a sangue freddo uno di questi. L'evento verrà collegato al recente funerale di sua madre e alla sua apparente indifferenza in quell'occasione e sarà proprio questa indifferenza che l'accusa userà per colpevolizzarlo come omicida senza cuore e indegno di continuare a vivere.

"Oui, s'est-il écrié avec force, j'accuse cet homme d'avoir enterré une mère avec un coeur de criminel." 
          ('Sì' ,urlò con forza, 'accuso quest'uomo d'aver interrato sua madre con un cuore da criminale.' traduzione mia) 

Adesso mi sento piccola, piccola nel dare la mia opinione su questo libro, gente molto più illustra di me ne ha parlato in maniera decisamente più efficiente.
Il libro mi ha indubbiamente colpito, sia per l'ambientazione arabo-francese, ma sospesa nella realtà, sia per le riflessioni condotte da Mersault che spesso coincidono con le mie. Il suo senso di estraniamento mi suona familiare, per quanto lui lo conduca ad un livello estremo e posso capire la sua incomprensione di alcune regole sociali e comportamentali assolutamente vuote che servono solo a coprire le apparenze. La sua accusa peggiore non è l'aver ucciso un uomo, perché in fondo si tratta di un arabo e alla buona società francese degli arabi non gliene potrebbe importare di meno, ma del fatto di non aver mostrato il giusto risentimento alla morte della madre. Non ha seguito le regole non scritte della società che richiedono una adeguata disperazione con lacrime e l'ostentazione del dolore per un lutto. Non importa che lui e sua madre si fossero allontanati negli anni e che lui magari soffra in silenzio. Non va bene, non si fa.
Le riflessioni che il personaggio si trova a fare in carcere, in attesa della fine, sono poi terribilmente universali, e riescono davvero a dare una sensazione di prigionia. Mersault si ritrova ad aspettare che arrivi e passi l'alba, perché quella è l'ora in cui avvengono le esecuzioni e se l'alba passa vuol dire che per quel giorno è salvo. Questa attesa per la morte è agghiacciante e insostenibile quanto l'inevitabile nichilismo nel quale egli si perde alla fine. L'idea che in fondo la vita "ne vaut pas la peine d'étre vecu" (non vale la pena d'esser vissuta) per un condannato a morte è un sollievo, anzi gli fa sembrare la sua posizione come una posizione di vantaggio rispetto a tutti gli altri costretti a vivere ancora per chissà quanti anni. Ma è soltanto un'illusione auto-imposta, per reggere meglio il rimpianto di una vita vissuta solo in parte e senza partecipazione.

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